NOIR CASABLANCA

 USCITA IN SALA → 6 giugno 2024

Nella periferia di Casablanca, Hassan e Issam, padre e figlio, vivono alla giornata svolgendo piccoli traffici per la mafia locale. Una sera vengono incaricati di rapire un uomo. Intrappolati in una lunga notte, non hanno idea di cosa li aspetta.

Gran Premio della Giuria – Un Certain Regard – Festival di Cannes 2023

Regia e Sceneggiatura: KAMAL LAZRAQ
Fotografia: AMINE BERRADA
Musica: P.R2B
Montaggio: HÉLOÏSE PELLOQUET, STÉPHANE MYCZKOWSKI
Suono: THOMAS VAN POTTELBERGE, THIBAUD RIE, HUGO FERNANDEZ, PHILIPPE CHARBONNEL
Prodotto da: SAÏD HAMICH BENLARBI
Coprodotto da: DIANA ELBAUM, DAVID RAGONIG

Con: AYOUB ELAID, ABDELATIF EL MANSOURI

Francia, Marocco, Belgio, Qatar, 2023
Drammatico – Thriller, 94 min.

Titolo internazionale: Hounds
Titolo francese: Les meutes

INTERVISTA AL REGISTA KAMAL LAZRAQ
Noir Casablanca è il suo primo lungometraggio. Come ha iniziato a lavorare nell’industria
cinematografica?
Sono nato e cresciuto in Marocco e mi sono trasferito a Parigi a 18 anni per studiare legge e scienze politiche. È a Parigi che ho scoperto alcuni film che hanno rappresentato un punto di svolta per me; stranamente questi film erano molto diversi da quelli che avrei realizzato in seguito. Per esempio, Sinfonia d’autunno di Ingmar Bergman (1978) è stata la mia prima folgorazione, perché mi ha fatto capire l’intera gamma di emozioni potenti che il cinema poteva trasmettere. Poi ho scoperto film che sono più vicini a ciò che faccio ora: Il neorealismo italiano, i film di Ken Loach, il cinema americano degli anni ’70…
Poi sono entrato nella scuola FEMIS attraverso l’esame di ammissione al concorso e ho iniziato a fare veramente cinema. Come parte del programma della scuola, ci esercitavamo attraverso brief specifici che ci permettevano di sperimentare in modo ampio. È stato allora che ho capito che mi piaceva lavorare con attori non professionisti. In Noir Casablanca ci sono praticamente solo non professionisti, come nel mio film di diploma, Drari (secondo premio della
Cinéfondation), che ho girato a Casablanca. Lavorare con non professionisti permette una grande libertà, flessibilità e adattabilità. Non avevo voglia di fare quel tipo di cinema in cui bisogna aspettare due ore perché la luce sia perfetta. Ho realizzato un secondo cortometraggio, Moul Lkelb (tit. int. The Man With a Dog),
che si svolge nell’arco di una notte, nel mondo sotterraneo dei combattimenti tra cani. Questo cortometraggio mi ha portato a Noir Casablanca, come estensione della stessa sfera.

Il film appare a tratti improvvisato: avevate una sceneggiatura completa prima delle riprese o avete improvvisato mentre giravate?
La sceneggiatura è stata scritta in modo molto preciso. Tuttavia, lavorando con non professionisti bisogna aspettarsi l’imprevisto. I miei attori provengono da ambienti sociali molto difficili, alcuni soffrono di dipendenze… Ho riscritto alcune scene in corsa, la mattina, perché uno degli attori non ce la faceva. Avevo avvertito la troupe e il direttore della fotografia che i due attori costituivano il cuore del film e che erano grandi attori ma non professionisti. Sono estremamente intensi davanti alla macchina da presa e lo sono altrettanto nella vita reale. L’obiettivo era assicurarsi di non smorzare la loro naturale intensità con troppi vincoli tecnici. Per esempio, non riuscivano mai a portare a termini i loro compiti, quindi dovevamo essere necessariamente noi ad adattarci a loro.

Fondandosi sui codici ridotti del film noir, Noir Casablanca affronta molti argomenti. Ad esempio, il rapporto padre-figlio, che sembra essere invertito.
In Marocco, le concezioni delle figure paterne e della mascolinità sono molto diverse rispetto alle culture occidentali. In Marocco, c’è grande rispetto verso il proprio padre, le cui parole non vengono contestate, e non c’è spazio per la ribellione adolescenziale o per comportamenti impulsivi. Quando abbiamo detto all’attore che interpreta il figlio, «quest’uomo sarà tuo padre», si è instaurata una forma di deferenza. La traiettoria del film può essere definita come segue: un
figlio che accetta tutto dal padre quando in fondo sa molto bene che il padre prende la decisione sbagliata.

Allo stesso tempo, Issam (il figlio) obbedisce controvoglia, e permette persino a se stesso di criticare o rimproverare Hassan, suo padre.
Sì, nonostante la sua riluttanza, lo segue e non lo abbandona mai. Tuttavia, esprime alcune cose veramente dure. Ad un certo punto, Issam prende il controllo, fisicamente e simbolicamente. Si rende conto che suo padre ha perso il controllo. Quando ho scritto la sceneggiatura, non volevo fare un film psicologicamente carico, mi sembrava che il rapporto padre-figlio si esprimesse meglio attraverso il linguaggio corporeo, gli sguardi, i silenzi… Il film è impostato sull’azione pura e su un breve arco temporale, quindi i personaggi non hanno tempo per lunghi scambi di dialogo. Sono le loro azioni, le loro decisioni, le loro non-scelte a illuminarci riguardo alla psicologia dei personaggi e al loro rapporto. Come spettatore, penso che sia più interessante non avere tutte le chiavi e lasciare spazio alla libera interpretazione.

I «segugi» sono anche le bande di gangster costantemente coinvolte negli scontri. Come nei tipici film noir, il crimine organizzato fornisce una lente sociale per osservare il paese.
Il crimine organizzato riflette una particolare condizione di povertà sociale. Le attività illegali sono un mezzo per sopravvivere. All’inizio, Hassan vuole comprare della carne per sua madre ma non può permetterselo. Quindi accetta di fare un lavoro per una delle bande. Il Marocco si è sviluppato ma c’è una parte significativa della società che è stata lasciata indietro, persone che si trovano facilmente coinvolte in spirali di violenza come quella mostrata nel film. I miei attori provengono da questo tipo di contesto. Eppure, nonostante la durezza, e a volte anche una forma di pura brutalità da parte dei gangster, c’è un tratto profondamente umano in queste popolazioni. Durante i casting, ho incontrato decine di giovani di questi quartieri svantaggiati e quando discutevamo con loro dei momenti un po’ pericolosi delle loro vite, dicevano sempre: «Vorrei non dover fare questo ma non ho scelta». Questa dimensione sociale è stata una delle caratteristiche forti del film. Quando giravamo in questi quartieri, la gente veniva da noi e chiedeva un po’ di soldi. La sopravvivenza era una presenza costante e
pervasiva.

Anche la religione è presente nel film, attraverso la magia, come quando il furgone parte dopo una preghiera, e attraverso una certa ironia, Hassan commette una serie di reati o ‘azioni amorali’ eppure ci tiene a seppellire l’uomo che hanno ucciso secondo i riti religiosi.
La religione ha una dimensione predominante nella cultura marocchina, direi persino che è una forma di superstizione: la paura di essere maledetti, la paura di essere sottoposti a punizioni divine… Le persone possono accettare cose che non sono giuste allo scopo di sopravvivere, ma questa superstizione opprimente è sempre presente. Anche le persone con la migliore istruzione o con le menti più cartesiane hanno questa dimensione in loro. Nel dialogo, Dio è sempre presente: Dio ti aiuti, che la collera divina si abbatta su di te, che Dio ti guidi, ecc. È qualcosa di profondamente radicato nella cultura marocchina. E ha infuso una certa ironia in tutto il film.

Noir Casablanca non è una commedia. Tuttavia, a tratti quasi ricorda il cinema dei fratelli Coen, nel senso che i personaggi sono coinvolti in una spirale di eventi su cui non hanno alcun controllo. Richiama in qualche modo anche Hitchcock, quando dice che è difficile far sparire un cadavere: questa difficoltà è proprio la spina dorsale della narrazione del film.
Il film non è una commedia di per sé, è molto cupo, eppure include questo sottofondo di ironia. Ho inserito anche una dose di farsa oltre a una dimensione che tende all’assurdo. Quello che avevo in mente era la figura di Sisifo e la sua roccia. In verità, la mia intenzione non era puntare alla pura commedia o alla farsa, ma quando giri per le periferie di Casablanca di notte, questa dimensione farsesca è decisamente presente: le persone sono spesso come personaggi puri
che si esibiscono per il pubblico. Credo che la comicità del film derivi più da questo lato ‘documentaristico’ che da una reale intenzione da parte mia di enfatizzare questa dimensione. La mia relazione con Casablanca ha influenzato notevolmente la mia scrittura.

L’ironia è presente anche nell’arco narrativo del film: Hassan viene costantemente distratto e finisce per essere gettato direttamente nella bocca del leone – la gang rivale.
Questa traiettoria incarna di per sé il tema dell’assurdo. Abbiamo menzionato Sisifo, e ciò che accade a Hassan è abbastanza simile. Il suo percorso segue un loop e finisce esattamente nel punto che avrebbe dovuto evitare ad ogni costo. Inizia all’alba e finisce all’alba. Questo conferisce al film anche una dimensione esistenziale. Hassan lotta per cercare di uscire da tutto questo, ma alla fine si ritrova esattamente dove aveva lasciato. Superficialmente, la storia del film è piuttosto semplice: l’obiettivo è sbarazzarsi di un cadavere. Gli aspetti sociali, esistenzialisti e filiali sono tutti importanti sottostrati del film.